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Perché le azioni dei paesi emergenti stanno crollando?
Negli ultimi tempi abbiamo assistito a una fase particolare dei mercati, soprattutto nell’ultimo mese, in cui i “vincitori” dell’anno scorso sono diventati i “vinti” di quest’anno.
Ad esempio, le Big Tech hanno sofferto la rotazione settoriale a favore di società più cicliche, mentre le materie prime che avevano sofferto il blocco del ciclo economico nel 2020 hanno ripreso a viaggiare portandosi sui massimi di periodo.
E non hanno fatto eccezione i mercati emergenti, in particolare la Cina, che si è ritrovata a passare da uno dei migliori mercati in assoluto nel 2020 (CSI 300 a +27%) ad uno dei peggiori in questo inizio 2021 (-6%).
Quali sono i motivi di questa sotto-performance?
- L’esposizione alle Tech e alla Cina. Nei panieri azionari degli ETF esposti ai mercati emergenti, la Cina vale il 38% dell’investito, seguita da Taiwan (14%), Korea (13%) e India (10%). Non solo, le prime 4 posizioni dell’ETF EEM (iShares Emerging Markets), che peraltro rappresentano ben il 22% dell’investito, sono giganti tech asiatici (TSMC, Tencent, Alibaba e Samsung Electronics).
E con la rotazione settoriale in corso, le Tech sono proprio le società più penalizzate, in quanto un aumento dei rendimenti governativi (che sono le attività prive di rischio, funzione dei tassi di sconto tramite cui ottenere il valore azionario) va a penalizzare soprattutto le società con elevata crescita (quindi società tecnologiche e a maggior ragione in mercati emergenti). - L’aumento dei rendimenti sui Treasury USA causa un apprezzamento del Dollaro. E un Dollaro forte è tremendamente impattante per le economie emergenti.
Infatti la Cina rappresenta il primo o comunque un mercato primario a livello mondiale per moltissime commodity, dai metalli industriali (come rame e nickel) al petrolio, alle commodity agricole.
Queste commodity sono scambiate in Dollari e un rafforzamento del Dollaro stesso va a zavorrare gli acquisti e in definitiva indebolisce il PIL di questi Paesi.
E avendo queste stesse economie fondamentali meno forti rispetto ai mercati sviluppati, ogni aumento dei costi ha un rischio di credito maggiore sulla tenuta delle loro economie.
Non è un caso quindi che nelle ultime settimane abbiamo assistito a un prelievo di risorse dai fondi che investono in mercati emergenti, come mostrato dalla figura.
D’altro canto, va anche notato che lo stato dell’economia di molti paesi emergenti è molto migliorata rispetto a 7-8 anni fa e quindi l’impatto di un Dollaro forte in realtà dovrebbe essere molto più gestibile rispetto al passato. - La fine del QE in alcuni Paesi emergenti, tra cui la Cina.
La Cina ha subito chiaramente meno gli impatti della pandemia ed è stata l’unica economia mondiale (dando per veri i suoi dati macroeconomici) ad essere cresciuta nel 2020. Questo però è un’arma a doppio taglio, in quanto adesso la banca centrale cinese si trova a dover ridurre lo stimolo monetario in virtù della ripresa dell’economia per evitare lo scoppio di bolle (che non sono scontate, visto che il CSI 300 adesso scambia a 19x in termini di P/E contro le 12x di un anno fa).
Oltretutto è necessario moderare lo stimolo monetario per evitare l’esplosione dell’inflazione in una spirale inflattiva (che per alcuni versi sembra già si possa intravedere, visto che la Cina ha cominciato a fare “restocking” e quindi a comprare materie prime in gran quantità, attendendosi che i prezzi saliranno nei prossimi mesi, alimentando ancora di più l’aumento delle aspettative inflazionistiche).
Cosa succederà ai mercati emergenti?
La sensazione attuale è che i mercati emergenti siano ancora un “falling knife”.
Secondo Bank of America, questi “outflow” continueranno ancora per il prossimo trimestre a causa della volatilità che persisterà sui bond governativi. L’interesse per i mercati emergenti tuttavia rimane intatto da parte degli investitori e, considerato che mediamente queste uscite da parte degli investitori durano qualche mese, gli analisti si attendono una ripresa a partire dalla seconda parte dell’anno.