E’ l’anno degli ETF

Il 2021 è l’anno d’oro degli ETF. Nei primi sei mesi del 2021 infatti, i fondi passivi hanno raccolto in giro per il mondo la bellezza di 659 miliardi di dollari, contro i 767 miliardi raccolti nell’arco di tutto il 2020, peraltro anno che aveva visto volumi record.

Il successo degli ETF azionari

In particolare, gli ETF azionari stanno facendo il pieno di sottoscrizioni, con una raccolta netta di 459 miliardi di dollari nel 2021, ovvero il 70% dei flussi totali convogliati sui fondi passivi. La quota di mercato degli ETF azionari è fortemente salita nel 2021 dal 48% del 2020. Questo trend è stato favorito dallo scarso appeal dei fondi obbligazionari (a rischio svalutazione a causa del progresso dell’inflazione) e di quelli monetari (dati i bassi rendimenti).  

 019 il boom degli etf

A testimonianza di ciò, gli ETF obbligazionari hanno raccolto 112 miliardi di dollari nel 2021 il 17% del totale investimenti, contro il 30% del 2020.

Cosa rende gli ETF così appetibili?

Ma perché gli ETF stanno diventando sempre più importanti per gli investitori retail ed istituzionali?

Ecco i principali motivi:

  • Costi: i fondi passivi, essendo per l’appunto gestiti in maniera passiva, replicando semplicemente un indice di riferimento, hanno costi nettamente inferiori a fondi di investimento attivi.
  • Trasparenza: quando si investe in un ETF è possibile scaricare l’intera lista del portafoglio investito, valutando l’esposizione settoriale, la concentrazione su singoli asset, la diversificazione di mercato geografico e la capacità di replicare l’indice benchmark (tracking error). Al contrario in un fondo attivo, spesso sono indicati solo i principali investimenti o vengono comunicati gli investimenti fatti solo ex post (ad es. nella rendicontazione annuale).
  • Semplicità operativa: gli ETF sono trattati alla stregua delle azioni e posso essere tranquillamente comprati e venduti istantaneamente. Al contrario molti fondi comuni di investimento necessitano anche di 2-3 giorni lavorativi per completare una transazione di acquisizione o cessione dello strumento.
  • Rendimento: secondo diverse statistiche, nel lungo periodo ca. il 90% dei fondi attivi non riesce a battere il mercato. Sono quindi finiti i tempi del “two for twenty”, ovvero quelli dei primi anni 2000, in cui investitori istituzionali e banche affidavano a fondi comuni e hedge fund la propria liquidità pagando un 2% di commissione annuale a fronte di un rendimento medio annuo del 20% ca.. Addirittura oggi, molti fondi attivi costruiscono una base di ETF nei propri investimenti, selezionando ecletticamente alcune società sottovalutate, in maniera tale da avere un rendimento allineato a quello di mercato, con la possibilità di un extra-rendimento dalle azioni comprate separatamente.

Di conseguenza gli ETF non sono più uno strumento B2C (“business to consumer”), ma stanno sempre più diventando un prodotto B2B (“business to business”), in cui sempre più investitori professionali scelgono i fondi passivi per ottenere risultati mai troppo distanti dal mercato generale.

Il business degli ETF vale oggi ca. 9mila miliardi ed è dominato da Vanguard, BlackRock e State Street (che valgono l’80% del mercato e possiedono il 22% del capitale delle società dell’S&P500). Ma è un settore che non vuole fermarsi perché sta rivoluzionando l’industria del risparmio gestito: fa riflettere il fatto che ci siano voluti ben 15 anni a BlackRock (che acquistò iShares nel 2009) per raggiungere i 1.000 miliardi di asset in gestione, solo 5 per raddoppiarli e appena 2 per triplicarli, con gli analisti che stimano che l’intero mondo ETF varrà 15 mila miliardi entro il 2025.

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Francesco di Renegade Insider Finanza